Descrizione
“Nonostante il concetto di Sé abbia radici sia filosofiche che psicoanalitiche molto antiche, è negli ultimi venti anni che il suo uso nel linguaggio della clinica psicoanalitica si è intensificato sino a divenire un termine quasi ubiquitario. Ma, a dispetto del largo uso che ne viene fatto, sono pochissimi gli autori che hanno tentato di dargli una collocazione sistematica nel corpo della metapsicologia, e se d’altro canto cerchiamo di dedurre una qualche definizione dai diversi usi del termine, ci rendiamo subito conto delle divergenze talvolta radicali tra i vari autori. È con la psicoanalisi indipendente britannica che il concetto di Sé si afferma nelle sue molteplici e ricche dimensioni cllniche, ed è tale tradizione che il volume rappresenta. All’interno di questa tradizione emergono con forza i paradossi del Sé: la sua necessità nel discorso psicoanalitico e la sua appartenenza al linguaggio comune, la sua apparente evidenza e l’impossibilità di definirlo. Il Sé è la continuità stessa del discorso, il tessuto che crea la provvisoria e sempre ridefinita mappa della posizione dell’oggetto. Il Sé non si può raccontare, ma al tempo stesso è la forza narrante, che orienta la narrazione caratterizzandone l’unicità. Gli scritti clinici di E. Balint, M. Khan, F. Tustin, A. Qiannakoulas; i contributi teorici di M. James, J. Padel, N. Coltart; ed infine quelli dedicati all’approfondimento del concetto di Sé nell’opera di D.W. Winnicott (M. Khan, J. Davis, M. Davis; L. Schacht; P. Fabozzi) e di M. Fordham (G. Maffei), restituiscono con grande efficacia la complessità e la ricchezza di uno strumento ormai indispensabile nel lavoro psicoanalitico contemporaneo.”