Descrizione
A partire dalla sua esperienza clinica con i bambini e le famiglie multiculturali, Francine Rosenbaum evoca in questo volume gli effetti perversi del misconoscimento delle risorse psicolinguistiche della lingua materna necessaria all’elaborazione dell’identità.
Dall’inizio della sua attività clinica ha costatato che il malessere dei migranti si cristallizza spesso in sitomi che ledono la parola o la scrittura. I bambini che ne soffrono approdano con i loro genitori nei consultori psicopedagogici dove i riferimenti epistemologici monoculturali e gli strumenti di valutazione monolingui si sono rivelati insufficenti e insoddisfacenti tanto per le valutazioni che per le prese in carico di una problematica complessa che va ben al dilà dei modelli psicopedagogici e rieducativi tradizionali.
Ci infonde la certezza che possiamo agire con i bambini e le loro famiglie facendo leva sulla lingua, le origini, gli antenati, i modi di fare e tutti i multipli legami che costituiscono il contenitore umano fisico e psichico par fantasmare l’identità e trasformarla in narrazione strutturante.
Ci mostra come, perdendo l’involucro sonoro della lingua materna, la prossimità fisica del simile, il riflesso speculare dello sguardo dell’altro, l’attualità costituita da corrispondenze immediatamente decifrabili, l’essere umano sperimenta sentimenti di annullamento, di destrutturazione, di disperazione, di vuoto affiliativo e affettivo, di perdita di identità, di paura e di minaccia. Le conseguenze possono essere molteplici: isolamento, mutacità, ripiego, agressività, crisi di identità, paralisi del pensiero, vergogna e umiliazione. Col pretesto dell’integrazione, il frequente diniego delle risorse dell’asse affiliativo dei migranti nega loro l’accesso ad un’integrazione desiderata.
La valorizzazione della lingua materna, il genogramma e la riscoperta delle storie di vita grazie alla mediazione linguistico-culturale sono i supporti maggiori delle sue terapie che vengono ampiamente illustrati dalle storie cliniche.